Se Cristo è salito al Cielo, con Lui deve salire il nostro cuore
(Agostino)
Ci sono oggi alcuni che riducono tutto il compito del credente all'impegno politico, teso a promuovere i valori umani: per questi la terra e il cielo è poco o niente, in ogni caso è relegato nell'ombra. Dal lato opposto c'è chi relega la fede in sacrestia, vede cioè il settore religioso com una zona rarefatta, unicamente preoccupata dell'aldilà, nel totale interesse dei problemi vivi della storia e degli uomini: per questi il Cielo è tutto, ma la terra è un nulla, oggetto solo di rinunzia e di disprezzo. La vita quaggiù sarebbe solo un esilio infelice in cui non si fa che piangere. La festa dell'Ascensione aiuta a trovare il giusto equilibrio tra questi due estremi: ci fa vedere che il Cielo è già presente in germe sulla terra.
Per Gesù l'Ascensione è il compimento della storia pasquale: la si contempla con infinito stupore, tra canti di gioia. E' il trionfo del Crocifisso. E' il punto terminale di un unico movimento che afferra tutta la vita del Cristo, ed ha nella Pasqua il suo punto nodale: dalle altezze di Dio il Figlio è disceso fino alla morte di Croce ed ora è esaltato e sale fino a raggiungere la gloria del Padre. Si vede con questo che il cielo non è uno spazio etereo, oltre le stelle, ma è Qualcuno: è l'intimità del Padre. Con Cristo la nostra natura, unita alla sua persona, è entrata in Dio. Cristo segna il cammino che tutta l'umanità rigenerata deve seguire con una lunga ascesa. Ma non dobbiamo immaginare il Cristo collocato lassù, al vertice dell'universo, come una statua sulla cima di un monte. Quel vertice è il cuore del mondo. Di là egli come punto Omega attrae a sè tutta la storia e la riempie della sua presenza. Diventa centro di gravitazione universale. L'Ascensione non annulla nè la presenza di Cristo nè la sua azione: anzi, l'amplifica. Segna la fine delle apparizioni del Risorto. Questo mistero chiude il Vangelo e apre gli Atti. E l'angelo dice agli apostoli che guardano imbambolati verso l'alto: che fate qui a guardare? Tornate a Gerusalemme. Il Regno è in costruzione quaggiù nella storia e noi tutti dobbiamo lavorare "perchè venga". Il "Cielo" non è un alibi per il disimpegno in questo mondo. Il desiderio della Patria non smobilita le forze del cristiano: piuttosto le stimola. Nessun problema della Chiesa o del mondo è estraneo al credente. Egli li assume tutti in proprio e vi apporta quel "supplemento d'anima" che solo il Vangelo sa offrire, sicchè "ciò che è l'anima per il corpo, questo sono i cristiani per il mondo" (discorso a Diogneto). E se è così, la terra non è un esilio, ma il vestibolo della patria. E tuttavia ciò che si realizza quaggiù è transitorio. Il cuore del cristiano è afferrato dalla nostalgia struggente della Patria definitiva. Guardando "a quale speranza Dio ci ha chiamati e quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi", il cuore esulta di gloria indicibile. "Se Cristo è salito al Cielo, con Lui deve salire il nostro cuore" (Agostino"). Un tratto essenziale del cristianesimo sta in questa sintesi: tra l'assunzione generosa e responsabile degli impegni di quaggiù e la nostalgia invincibile della gloria di lassù.
padre Mariano Magrassi
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